Cenni storici

La piana di Curinga, secondo gli studi e le ricerche condotte dall'archeologo americano Ammerman, risultava abitata già nel Neolitico antico. Nel periodo magno-greco molto probabilmente Lacconia, con un modesto centro abitato, costituì un approdo marittimo tra le foci dell'Amato e dell'Angitola. Dell'età romana rimangono i resti di un complesso termale che, secondo l'archeologo Arslan, facevano parte di una villa padronale. Nel periodo dell'occupazione gotica ed al tempo dei Longobardi, Lacconia subì successivamente, sotto il dominio dei Bizantini, frequenti incursioni saracene. In questi secoli, nel quadro di un fenomeno che interessa tutta la Calabria, a causa dell'impaludamento delle pianure, del diffondersi della malaria, dell'insicurezza delle coste, nuclei consistenti di abitanti si spostano sulla collina formando i primi borghi rurali (corìa) dai quali trae origine il centro abitato di Curinga.

Lacconia rifioriva sotto i Normanni e sotto gli Svevi e addirittura, secondo lo storico Parisi, in questo periodo costituiva feudo a sé staccato dalla diachoria di Maida, sotto Giacomo, figlio di Ruggero Sanseverino.

Sotto i re Normanni e l'imperatore svevo, nel territorio di Lacconia venne importata la coltivazione della canna da zucchero e in questo periodo, inoltre, cominciano ad espandersi le coltivazioni di agrumi e di gelsi. Si deve al re Carlo d'Angiò la conferma, in un primo momento, dell'autonomia di Lacconia che viene affidata a Giordano Sanfelice e in seguito aggregata al feudo di Maida con i casali di Curinga e Cortale sotto Egidio di Santoliceto. Nel 1331 il feudo di Maida passa a Goffredo Marzano e nel 1409 lo stesso feudo viene acquistato da Giovanni Caracciolo.

Le lotte sanguinose tra Angioini e Aragonesi toccano anche Curinga e Lacconia, anche se quest'ultima appare, in questo periodo, in netta ripresa.

Si ha notizie di una tonnara sulla costa di Lacconia già agli inizi del Duecento ed esattamente a Torre di Mezzapraia. Quest'attività scompare definitivamente in tempi più recenti. Alfonso d'Aragona promosse lavori di bonifica nel territorio Lacconiese al fine d'incrementare la produzione della canna da zucchero. Fece costruire grandi edifici e trappeti per confezionare questi prodotto e vi fu lavoro per tutti che contribuì a fare aumentare la popolazione. Inoltre tra le attività economiche della zona risulta, in questo periodo, la produzione di bellissimi vasi in vetro a Curinga. Però, in questo stesso periodo, i tributi molto esosi rendevano ben triste la situazione ed è a causa di ciò che il 2 Giugno 1459 le truppe regie fanno strage di 3000 contadini sotto le mura di Maida. Le cronache del tempo ci dicono che i contadini in rivolta erano guidati dal Centelles e da Luise Caracciolo.Maida e Lacconia venivano lasciati da Alfonso il Magnanimo al secondogenito Federico che, nel 1496 vendeva la prima a Pirro Loffredo e la seconda, per 2000 ducati, a Marcantonio Caracciolo. L'inizio del sedicesimo secolo segna la minaccia dei Turchi sulle coste e, negli anni Cinquanta di questo secolo, viene eretta una serie di torri di avvistamento, una a Torre di Mezzapraia, che non salveranno Lacconia da frequenti e sanguinose scorrerie. Il secolo successivo è contrassegnato da un gravissimo terremoto, esattamente nel 1638, che causò morti e danni ingenti anche a Curinga e Lacconia mentre nella seconda metà del Seicento i Loffredo, oppressi dai debiti, vendono il feudo di Maida con Curinga e Lacconia comprese ai Ruffo che ne manterranno la titolarità sino al 1806.

Nel 700 e agli inizi dell'800 si assiste allo spopolamento di Lacconia dovuto a terribbili alluvioni e alla malaria e anche la popolazione di Curinga è decimata dalle epidemie e dalla fame come documentano i registri parrocchiali. Il terremoto del 1783 distrusse completamente Lacconia e danneggiò gravamente mentre Curinga che, negli anni successivi, venne completamente ricostruita. I provvedimenti della Cassa Sacra, furono anche a Curinga, l'occasione di accumulazione fondiaria nelle mani di poche famiglie benestanti. L'abolizione dell'organizzazione feudale fece sparire l'antico stato di Maida. Nasceva la municipalità di Curinga alla quale veniva aggregata Lacconia. All'inizio dell'800 si assiste ad un accentuarsi della violenza privata e, anche nella zona di Curinga, prende corpo l'organizzazione di bande di briganti. Famosa la banda degli Azzariti di S.Pietro a Maida che era costituita anche da elementi curinghesi.

IL 27 Giugno del 1848 presso il ponte delle Grazie si verificava uno scontro armato tra Nazionali e Borboni. Numerosi erano i curinghesi tra le fila dei Nazionali. Presso lo stesso ponte il 27 Agosto 1860 si combatteva una battaglia tra Garibaldini, fra cui c'erano 55 curinghesi e truppe borboniche. Poche ricerche ci sono state sulla situazione sociale dell'800 a Curinga ma da racconti orali si capisce che esisteva un netto contrasto tra grandi proprietari e piccoli coltivatori minacciati continuamente dell'assorbimento. Nella seconda metà del secolo anche a Curinga si assiste al fenomeno dell'emigrazione. Si partì verso Argentina, Stati Uniti e Brasile.

L'emigrazione portò i primi fermenti di quel movimento contadino di orientamento socialista che fu protagonista di momenti di lotta nel primo dopoguerra e che diede il via alla formazione della prima cooperativa. Nel secondo dopoguerra ci furono momenti molto aspri di scontro che sfociarono nell'occupazione di terre. Parecchi furono arrestati e processati. La ripresa dell'emigrazione, nel secondo dopoguerra, verso gli Stati Uniti, Canadà, Italia del Nord e il Centro dell'Europa diventava una delle cause dello sfaldamento e dello spopolamento del nostro paese come di quasi tutti i paesi della calabria.

Le lotte contadine in Calabria nel secondo dopo guerra non hanno costituito un movimento omogeneo ed unitario bensì un insieme di moti con differenti specificità. Una vera e propria congiura del silenzio ha fatto dimenticare centinaia di arresti e di processi verificatesi in quegli anni nel nicastrese. Furono coinvolti sindacalisti, contadini, operai e intellettuali: si trattò di un movimento che interessò quasi tutti i paesi del nicastrese e costituì un tentativo di superare il ribellismo spontaneista degli altri movimenti. In questa zona non c'era latifondo incolto ma grandi proprietà coltivate ad uliveto e gestite direttamente dai proprietari attraverso lo sfruttamento del lavoro bracciantile e delle raccoglitrici di olive.

Il movimento si proponeva il superamento di ogni tipo di legame feudale ancora esistente e la riforma dei patti agrari dimostrando di essere un passo avanti rispetto agli altri movimenti della Calabria. Alla sua guida erano i comunisti in dissenso con la segreteria regionale e Mario Alicata li accusò di settarismo. L'occupazione dell'uliveto era intesa, in definitiva, come strumento per giungere ad una diversa ristrutturazione dei rapporti in agricoltura.

In queste lotte furono coinvolti anche contadini di Curinga e qui vogliamo riportare in sintesi l'assoluzione riguardante 14 contadini di Curinga e Filadelfia accusati di invasione di terra. Il 4 Dicembre 1950, presso il tribunale di Nicastro ( presidente Giovanni Romano, giudici Gaspare Porchia e Francesco Pittelli, P.M. Francesco Ferlaino procuratore della Repubblica) veniva emessa la sentenza che riguardava: Michienzi Francesco e Domenico, Masdeo Pasquale, Serratore Mariano, Gugliotta Bruno, Masdea Francesco, Manduca Domenico, Serratore Francesco, Marrella Francesco, Brizzi Giovanni, Calvieri Carlo e Prunestì Francescantonio.

Erano accusati di aver invaso arbitrariamente il 2 Novembre 1949, il fondo "Moddone" di proprietà di Stillitani Carmelo in agro di Curinga e di danneggiamento aggravato per aver distrutto il giunco nello stesso fondo. Ecco cosa si legge nella sentenza:

"I Carabinieri di Curinga accertarono la veridicità della denuncia, ma aggiunsero che gli imputati occuparono parte di detto fondo ritenendo che esso appartenesse al demanio marittimo e che gli stessi abbandonarono appena diffidati dal fattore dello Stillitani."

Il Collegio osserva che:

"... i fatti commessi dagli imputati furono compiuti in perfetta buona fede, sicuri che il fondo fosse demanio marittimo. Essi operarono non per danneggiare ma per mettere la terra in coltura, terra in cui era cresciuto il giunco. La buona fede è dimostrata dal fatto che , non appena diffidati dal fattore dello Stillitani, si allontanarono dal fondo. Pertanto nei confronti degli imputati devesi dichiarare che il fatto non costituisce reato per difetto di dolo..."

Tratto da " la memoria e altro" Vincenzo Villella

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